Il report in questione è basato su 68 professionisti di strutture distribuite in 14 regioni italiane. In particolare, secondo la ricerca, il 59% delle strutture percepisce il tema cyber risk in sanità come una priorità che impatta su prestazioni erogate e modelli organizzativi interni. Un ulteriore 31% ha valutato il tema come parzialmente prioritario
Almeno il 24% delle strutture sanitarie italiane hanno subito un attacco cyber nel 2020: c’è consapevolezza da parte delle strutture ma latitano gli investimenti. Buona risposta, invece, sul fronte del connected health.
Sanità sempre più nel mirino dei cybercriminali, ma anche la più pronta a riconvertirsi alla tecnologia durante il periodo di massima allerta pandemica. Sotto la lente finiscono gli ospedali e i centri medici. A rilevare che almeno il 24% delle strutture sanitarie del nostro Paese ha subìto attacchi informatici nel 2020, dei quali l’11% è stato costituito da ransomware e il 33% da accessi abusivi ai dati, è lo studio racchiuso in un whitepaper “Capire il rischio cyber- Il nuovo orizzonte in sanità“, realizzato da Sham, società del Gruppo Relyens, in collaborazione con il Dipartimento di Management dell’Università di Torino. Sebbene il fenomeno non sia del tutto nuovo e gli appelli agli investimenti e alla prudenza non siano mai troppi, il dato messo in luce dallo studio parla chiaro: c’è consapevolezza, la minaccia hacker non è sottostimata ma si fa ancora poco, concretamente, per mettere al sicuro queste strutture.
Il report in questione è basato su 68 professionisti di strutture distribuite in 14 regioni italiane. In particolare, secondo la ricerca, il 59% delle strutture percepisce il tema cyber risk in sanità come una priorità che impatta su prestazioni erogate e modelli organizzativi interni. Un ulteriore 31% ha valutato il tema come parzialmente prioritario
Nonostante ciò, gli analisti rilevano che sono ancora poco frequenti le misure adottate dalle strutture per prevenire e gestire il rischio cyber: mappature, analisi dei rischi e test di vulnerabilità figurano solo in un terzo del totale. Non è stata così, invece, per quanto riguarda la rapidità con cui i sistemi sanitari hanno risposto alla pandemia da Covid-19 facendo leva su servizi e tecnologie di connected health per supportare la riorganizzazione delle strutture e dei percorsi di cura dei pazienti. Per sottolineare questo, ci viene in aiuto un’indagine di IDC Italia, in collaborazione con Salesforce Italia, su un campione di 84 organizzazioni sanitarie.
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Cos’è la
Questo termine viene utilizzato in un contesto socio-tecnologico in cui si sottolinea l’aspetto di interconnettività/interconnessione dei dispositivi, dei servizi e delle soluzioni legate alla sanità, i cui ambiti si ampliano per includere anche l’assistenza remota. L’implementazione delle strategie a supporto dei modelli di cura connessi digitalizzati sono ancora in fase di progettazione per il 44% delle realtà intervistate. Solo il 4% dichiara di avere avviato strategia nel lungo periodo, di cui stanno vedendo i benefici dell’innovazione.
Per il 56% delle organizzazioni sanitarie italiane intervistate non esiste ancora una pianificazione strategica formale per l’innovazione digitale. Per il 37%, invece, la strategia di digitalizzazione si limita a singoli processi, mentre il 7% considera la strategia digitale come parte integrante della strategia aziendale per innovare i modelli di cura per i pazienti. Attualmente il 63% delle aziende ospedaliere italiane non dispone di indicatori specifici per valutare la validità dei progetti di connected health implementati. Tuttavia, avere una visione univoca dei dati del paziente consentirebbe alle organizzazioni sanitarie di rivoluzionare non solo la raccolta della documentazione dei pazienti, ma soprattutto di ottenere una migliore analisi e comprensione dei fenomeni e di ottimizzazione dei processi clinici. Un approccio strategico ai dati permetterebbe infatti di personalizzare le cure e di integrare i servizi durante il percorso di gestione dei pazienti, ma anche di allocare le risorse adeguate per le terapie da effettuare.
Un aiuto concreto a questa esigenza arriva dall’agilità e dalla sicurezza del cloud: il 90% delle organizzazioni considera il cloud come una delle tecnologie che possono avere il maggiore impatto nella sanità connessa. E, in tutto questo, non si deve scordare l’aspetto legato alla sicurezza, vero e proprio tallone d’Achille delle realtà sanitarie.
Stefano Belviolandi
Stefano Belviolandi è giornalista professionista dal 2000. Dopo un’esperienza nella redazione economica di ItaliaOggi passa al settore informatico lavorando per diverse testate specializzate in ambito canale distributivo. Successivamente, ha lavorato per oltre 10 anni presso la redazione online di ChannelBiz, testata di NetMediaEurope, occupandosi delle strategie di canale. Oggi è responsabile della testata online ChannelTech (Avalon Media). Collabora a speciali, videointerviste, moderazioni in diversi settori. Ha seguito corsi SEO, social media marketing e di speaking radiofonico.